Avete rotto lo smart working

In questi giorni e in queste ore non si fa altro che parlare di smart working o smartworking (non ho ancora ben capito come si scrive) e dei suoi benefici. Quindi dopo ore e ore di letture sui maggiori social animati dagli italiani, quotidiani italiani e non solo, mi sono accorto che in molti hanno rotto lo smart working. Quindi in questo mio piccolo post di riflessione (almeno ci provo a riflettere) vi parlerò pure io di questo smart working e di come in molti hanno rotto con questa nuova moda. Ma soprattutto non hanno capito un tubo.

Che cos’è lo smart working?

Non si può iniziare un discorso oppure analizzare un argomento senza capire di che cosa si tratta e con che cosa si mangia. Cercando nella grande sfera di cristallo, cioè su Google, ho trovato il sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che definisce lo smart working in questo modo:

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

Quindi per lo Stato e soprattutto per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma anche per l’enciclopedia Wikipedia, lo smartworking (ogni tanto lo scrivo così) altro non è che il lavoro agile.

Per poter continuare il discorso, vi riporto altri due passaggi sempre dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il primo è questo:

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Mentre il secondo è questo:

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie.

Perché ho preso questi due passaggi, dedicati alla definizione dello smart working?

Perché in questi giorni vedo un sacco di aziende vantarsi che sono da sempre dalla parte del lavoratore e soprattutto per lo smart working. Le stesse aziende che fino a qualche giorno fa mettevano annunci di lavoro in cui precisavano che non accettavano lavoro da remoto, ma solo personale presso una delle loro sedi e con un orario di lavoro vincolante.

Le stesse aziende che in questi giorni, non solo hanno cambiato idea sulla gestione del personale, ma addirittura vantato migliaia di euro di investimenti in Notebook, Tablet e Smartphone, per aiutare i loro dipendenti a svolgere il loro lavoro agile direttamente da casa loro. Precisando però, che solo chi lo volesse e solo se fosse necessario.

Forse qualcuno deve spiegare a queste aziende che questo non è smart working, anzi è solo telelavoro. Non ci credete che si tratti di telelavoro, ecco cosa dice Wikipedia:

Il telelavoro può essere inteso come un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda, facilitato dall’uso di strumenti informatici e telematici e caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione, sia nella modalità di svolgimento.

Quindi ecco che alcuni hanno cambiato oppure frainteso il senso del termine e del concetto di smartworking con quello del telelavoro. Si perché quando fai leva in un momento storico come questo, in cui per colpa del Coronavirus, che te azienda sei al passo con i tempi e investi migliaia di euro in strumenti informatici solo perché vuoi aiutare i tuoi dipendenti, non fai altro che rompere le scatole. In più fai anche una bruttissima figurare e dimostri di nuovo che non stai al passo con i tempi per niente.

Però sfrutti il momento e la situazione per attirare l’attenzione su di te e farti pubblicità gratuitamente.

Infatti se non ci fosse stata questa emergenza del Coronavirus, ad oggi saremo davanti ai nostri bellissimi schermi a leggere quanto è bello lo smart working e come in Italia siamo di nuovo in ritardo sul resto del mondo.

Non solo, se non ci fosse stata questa emergenza, molte delle aziende che oggi hanno rotto con questo smart working e sul quanto sono brave ad evolversi velocemente, sarebbero la a criticare alcuni personaggi come Elon Musk e Richard Branson che da molti anni sostengono il mondo o movimento intorno al lavoro agile.

Quindi smart working oppure telelavoro?

Per me è solo telelavoro, dalla mia esperienza e il viaggiare in giro per lo stivale sono poche le realtà che ho conosciuto in questi anni e che effettivamente si possono definire aziende che si evolvono con l’evoluzione della tecnologia, ma anche con i cambiamenti socio culturali.

Consigliere alla stra grande maggioranza della aziende di smettere di parlare di smart working e di definire questa loro scelta aziendale come un’apertura al telelavoro, visto che il dipendente è obbligato a dare le stesse identiche ore di lavoro e negli stessi orari d’ufficio.

Secondo me, questo momento storico ci può sicuramente aiutare e far capire alle aziende quello che è il potenziale offerto dallo smartworking. Però allo stesso tempo le aziende devono veramente impegnarsi a capire che cos’è lo smart working e soprattutto distinguerlo dal telelavoro. Perché ancor oggi in moltissime aziende si pensa che far utilizzare un Notebook, Tablet e Smartphone, in combinazione ad alcuni tool free e non per PMI e Startup, si tratti di smart working.

Conclusione

Siamo di nuovo davanti alla situazione in cui dobbiamo sfatare un falso mito, cioè quello dove le aziende classiche e da sempre poco smart che vogliono diventare dà oggi a domani società super smart e ai passi con i tempi, sfruttando il momento e poi chissà quali saranno le scelte aziendali del futuro passata la moda. Diciamo che in tanto queste realtà economiche si prendono questo momento di gloria e gli applausi di tutti gli altri che non sono capaci di evolversi come loro.

Se vogliamo parlare di smart working o lavoro agile, le aziende dovono iniziare a capire di che cosa si tratta veramente e come si può sfruttare. Le realtà economiche di vario genere e poco smart, devono iniziare ad aprire le porte a chi anni fa ha scelto di essere indipendente e lavorare da remoto, che conosce questo mondo e grazie allo smart working manda avanti una famiglia oppure a sua volta manda avanti una realtà economica.

Solo collaborando e ascoltando queste persone, ma anche chi ha realizzato una realtà economica basata sul lavoro remoto, darà la possibilità alle aziende classiche e che seguono la moda del momento di capire se sono aperte per davvero all’evoluzione socio culturale e perché no aperte allo smart working.

Se le aziende classiche non riescono a capire l’esperienza degli altri che dello smart working hanno fatto la chiave del loro successo, significa che non sono portate all’evoluzione e che continueranno a puntare sul misero telelavoro o chissà quale altra moda del momento.

Ribadiscono, non si parla e non si tratta di smart working, ma di telelavoro quando la persona ingaggiata ha due strumenti offerti dall’azienda e può stare comodamente a casa sua per lavorare, con l’obbligatorio di essere disponibile per un minimo di 4 ore al giorno indipendentemente se al mattino o al pomeriggio, timbrando un cartellino virtuale.

Quindi per me in molti avete rotto lo smart working e con questo lavoro agile, dovreste fermarvi due secondi e riflettere.

Adesso tocca a voi, lasciate un commento qui sotto con le vostre impressioni su questo argomento. Poi se avete un azienda che da anni punta sul lavoro agile, vorrei conoscere la vostra esperienza e che cosa avete fatto in questi anni per far si che la vostra realtà economica sia molto smart working e meno telelavoro.

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